Il saggio Puer Aeternus di J. Hillman prende corpo da una storiella ebraica, una delle solite barzellette degli ebrei sugli ebrei:
“Un padre, volendo insegnare al figlio ad essere meno pauroso, ad avere più coraggio, lo fa saltare dai gradini di una scala. Lo mette in piedi sul secondo gradino e gli dice: “Salta, che ti prendo”. Il bambino salta. Poi lo piazza sul terzo gradino, dicendo: “Salta, che ti prendo”. Il bambino salta. Poi lo mette sul quarto gradino, dicendo: “Salta, che ti prendo”. Il bambino ha paura ma poiché si fida del padre, fa quello che il padre gli dice e salta tra le sue braccia. Quindi il padre lo sistema sul quinto, sesto e settimo gradino dicendo ogni volta: “Salta, che ti prendo” e ogni volta il bambino salta e il padre lo afferra prontamente, continuando così per un po’. A un certo punto il bambino è su un gradino molto alto, ma salta ugualmente, come in precedenza; questa volta però il padre si tira indietro, e il bambino cade lungo disteso. Mentre tutto sanguinante e piangente si rimette in piedi, il padre gli dice: “Così impari: mai fidarti di un ebreo, neanche se è tuo padre”.
Perché bisognerebbe insegnare ad un bambino a non fidarsi? Dove vuole portarci l’autore raccontandoci questa storiella apparentemente molto cinica?
Hillman affronta in questo breve saggio il tema del tradimento. E cosa significa essere traditi dal proprio padre? Da una persona così vicina? Che senso ha il tradimento nella vita psicologica?
Ogni esperienza di intimità, per esempio l’amore, l’amicizia oppure il rapporto analitico e terapeutico in genere, è una occasione di ritorno a quella situazione di fiducia originaria, quel rapporto simbiotico madre-figlio, un recinto sacro come il giardino dell’Eden, quando Adamo passeggiava in compagnia di Dio al crepuscolo.
Parliamo del bisogno di sicurezza come “fiducia originale”, come zona protetta in cui poterci esporre all’altro senza essere annientati, distrutti. E non solo del bisogno di essere “contenuti” in un altro che non ci potrà mai deludere, ma soprattutto del bisogno di proteggerci dalla nostra stessa tendenza al tradimento, dalla nostra stessa ambivalenza.
È questo il mondo originario prima del male e prima di Eva, della “nostalgia dell’essere una sola cosa con Dio”. In questo modo “non potremo far andare male le cose, avere desideri sessuali, ingannare, sedurre, tentare, imbrogliare, incolpare, confondere, nascondere, fuggire, rubare, mentire, rovinare il creato […]”
“[…] quella nostalgia della fiducia originale, la nostalgia dell’unità con il vecchio Sé saggio, dove io e il Padre siamo una cosa sola, senza l’interferenza di Anima, è tipica del Puer Aeternus, colui che sta dietro a tutti gli atteggiamenti adolescenziali”.
L’eterno fanciullo non vuole essere cacciato dall’Eden e si aspetta di essere totalmente compreso, confermato, benedetto e riconosciuto in virtù di ciò che è e della sua vicinanza e intimità con Dio. E quando questo non avviene, da parte dell’amico, della moglie, del terapeuta il vissuto è di profondo tradimento. Stando al racconto biblico, Dio non si riconosce sufficiente per l’uomo e decide di creare Eva, evocarla, farla uscire dall’uomo e questo porta alla rottura della fiducia originale tramite il tradimento. Il tradimento è quindi necessario e anzi una “iniziazione ad una nuova coscienza della realtà”. La fine dell’Eden è l’inizio della vita.
Hillman arriva così a postulare una verità fondamentale relativa al tradimento: non si da “amore” e “fiducia” senza possibilità di “tradimento”. L’uno contiene l’altro. Più grande è l’amore, maggiore è la possibiltà di essere traditi. “Siamo traditi proprio nei rapporti più intimi, quelli in cui è possibile la fiducia originale […] Più grandi sono l’amore e la lealtà, il coinvolgimento e l’impegno, più grande è il tradimento. La fiducia ha dentro il seme del tradimento […]”.
Il tradimento è la condizione per entrare nel mondo reale, il mondo della coscienza e delle responsabilità reali. Questo perché “vivere o amare soltanto laddove ci possiamo fidare, dove siamo al sicuro e contenuti, dove non possiamo essere feriti o delusi, dove la parola data è vincolante per sempre, significa essere irraggiungibili dal dolore e dunque essere fuori dalla vita vera […] Se possiamo fare dono di noi stessi con la certezza che ne usciremo intatti, magari addirittura arricchiti, allora dov’è il dono?”.
Questo vale per i rapporti di amicizia, per il matrimonio, nei rapporti di lavoro come in ultima istanza nel rapporto con la Chiesa o con il divino.
“L’uomo è traditore. La parola non è più forte della vita”. Il padre dice al figlio: “Ti ho tradito come tutti siamo stati traditi nella natura traditrice della vita creata da Dio. L’iniziazione del ragazzo alla vita è l’iniziazione alla tragedia dell’adulto”.
Anche Gesù alla fine viene abbandonato da Dio ed è proprio in quel momento che diventa definitivamente umano patendo sulla croce con il fianco ferito dal quale sgorgano sangue ed acqua, la sorgente ora liberata della vita, del sentimento, dell’emotività”. Quando si spezza la fiducia originale il puer muore e nasce l’uomo. Questa è una trasformazione radicale per l’universo maschile. “Solo dopo che il fianco di Gesù tradito e morente è stato trafitto, diventa possibile l’amore”.
E il momento della “grande delusione” è anche il momento della scelta, una grande opportunità. Non è quindi tanto importante il tradimento in se, ma come la nostra reazione, quale scelta decidiamo di fare. Chi è incapace di perdonare e quindi di superare il tradimento rimane “tagliato fuori” dall’amore, separato, isolato dalla vita, fissato nel trauma, pieno di rancore e voglia di vendicarsi, cieco ad ogni comprensione.
Hillman delinea cinque pericoli, sei modi disfunzionali di reagire alla ferita che il tradimento porta con sé:
La vendetta
Occhio per occhio, dente per dente. Male per male, dolore per dolore. Per alcuni è un atteggiamento naturale e se è fatta come un gesto di verità emotiva può servire al massimo a scaricare la tensione ma non produce risultati dal punto di vista psicologico. Se poi è procrastinata si trasforma in macchinazione mentale, ossessione; è starsene in disparte aspettando l’occasione buona per farla pagare. Dal punto di vista psicologico è un restringimento della coscienza, la sua messa a fuoco limitata. La vendetta “sposta la messa a fuoco dall’evento del tradimento e dal suo significato alla persona del traditore e alla sua Ombra”. Chi è tradito tradisce.
La negazione dell’altro
Quando in un rapporto uno dei due partecipanti subisce una delusione, la tentazione è quella di negare il valore dell’altro. In un colpo solo si vede l’Ombra dell’altro che da idealizzato, viene negato perché tradisce, interrompe bruscamente il flusso di proiezioni (idealizzazioni) che abbiamo fatto su di lui. Dalla stelle alle stalle. Anche in questo caso chi è tradito finisce per tradire.
Cinismo
Una delusione d’amore verso una causa politica, un amico, un nostro superiore può portare non solo alla negazione dell’altro, ma alla negazione dell’“amore”, della “politica”, dell’ “amicizia”, provocando un notevole restringimento della nostra visone del mondo, della nostra mappa della realtà. Allora “tutti” gli amici sono diventati infedeli, la politica è una “cosa sporca”, i datori di lavoro sono “tutti senza scrupoli”. “Il bambino tradito giurà che non salirà mai più su un gradino così alto”. Meglio rimanere a terra nel mondo del cane (Kynikos = cane). Così facendo chi è tradito finirà per tradire. Che cosa? Se stesso, i propri desideri le proprie aspettative, i propri talenti, la propria anima. Il “nichilismo” è una forma di cinismo portato all’esremo per cui si finisce per non credere più in “nulla”.
Negazione di sé
Una confessione tradita ad un amico, un sogno o un progetto che custodivamo nel nostro cuore: “Questo non l’ho mai detto a nessuno”, un segreto, un nostro valore profondo, etc. Quando si rompe un’amicizia, una collaborazione, una storia d’amore, di colpo viene alla luce il nostro lato oscuro e cominciamo a giustificare le nostre azioni con un sistema di valori che non ci appartiene. In quel momento ci consegniamo al nostro nemico interno. Siccome ci siamo rivelati e siamo stati traditi allora non ci esporremo mai più, non riveleremo più i nostri sentimenti, per mancanza del coraggio di essere tradiamo noi stessi generando un vortice senza fine di sofferenza nevrotica. Il tradimento di sé è l’esito preoccupante e in fondo, vendicandoci, diventando cinici o paranoici, non facciamo che tradire noi stessi perché ci mettiamo fuori della vita. E così c’è chi chiude con il sesso, con i rapporti di intimità, con la propria vocazione. In questo modo rifiutiamo di portare la nostra croce, di essere ciò che siamo anche se ci fa soffrire. Rinunciamo a noi stessi perché non abbiamo più coraggio di essere.
Scelta Paranoide
Un’ altra modalità pericolosa di reagire è quella di ricercare il rapporto perfetto per paura di essere di nuovo traditi. Il motto è “non mi dovrai più deludere”. Prove di devozione, giuramenti di fedeltà eterna, prove di fiducia e fuga in un rapporto basato sul logos, un rapporto mentale basato sulla parola più che sull’amore. Una vera propria distorsione della realtà. Un rapporto più di potere che di amore. La distorsione paranoide delle vicende umane è una cosa grave perché una volta lasciato il giardino dell’Eden non è più possibile farvi ritorno.
Dalla sofferenza al perdono
Chi tradisce, come il padre del racconto, evita di rendere conto di sé, a significare che la soluzione deve venire dalla parte offesa. “Questo a mio avviso, è lo stimolo creativo presente nel tradimento: è l’individuo tradito a dover trovare il modo di risorgere, a dover fare un passo avanti dandosi da sé un’interpretazione dell’accaduto. Ma l’esperienza del tradimento può essere creativa solo a patto che egli non cada nei pericoli che abbiamo descritto e che vi rimanga fissato”.
Se si rimane fissati nel trauma, nelle ferite, nel dolore, pieni di rancore si rimane tagliati fuori dall’amore, isolati nella pozza della nevrosi (per usare una elegante definizione che Jung offre della sofferenza nevrotica), nella solitudine, tagliati fuori dalla vita.
Fino a che si alberga nella sofferenza non c’è via di uscita. Per risolvere un problema, infatti, ci vuole un tipo di pensiero di ordine superiore. Si tratta di rispondere tradimento con un “dono” e non con un calcolo.
E il “per-dono” può solo arrivare da una “grande mente” per usare una metafora presa in prestito dalla filosofia zen, dal punto di vista di chi non ragiona come il burocrate, ma è connesso, radicato alla sorgente dell’essere che è “amore” e riesce a concepire la gratuità e il senso della grazia. Questo perché “quando l’io è stato offeso non può perdonare solo perché ‘dovrebbe’ […] L’io rimane vitale solo grazie al suo amor proprio, al suo orgoglio e senso dell’onore. Non posso perdonare direttamente, ma solo chiedere, o pregare, che i peccati siano perdonati. A volte, desiderare che il perdono arrivi e attendere che arrivi è l’unica cosa che possiamo fare. Per chi non ha provato che cosa vuol dire essere umiliati o essere offesi nel profondo, perdono e umiltà sono solo parole.”
Per chi è stato condotto, come quel figlio entusiasta, di gradino in gradino a saltare da una posizione sempre più alta, in un punto in cui la fiducia era massima, con il tradimento si aprono le porte alla propria ombra: negazione di sé, difese paranoidi (cioè proiezioni sull’altro della propria delusione e rabbia), cinismo e vendetta.
Ed è proprio in questa prospettiva che il perdono e il ritrovamento della fiducia acquistano il loro senso pieno, la loro possibilità di esistere, perché senza tradimento non esisterebbe il perdono. Perdonare “non equivale a dimenticare, ma è il ricordo del torto subito, trasformato all’interno di un contesto più vasto, ovvero, come ha detto Jung, il sale dell’amarezza trasformato nel sale della saggezza”.
Torniamo così alla domanda iniziale: Che senso ha il tradimento nella vita psicologica? “Senza l’esperienza del tradimento, né fiducia né perdono acquisterebbero piena realtà”. Il tradimento è il lato oscuro della fiducia e del perdono, ma ciò che li rende possibili.
“Questo spiega come mai nelle religioni, il tema del tradimento, sia così importante. Forse il tradimento è la porta attraverso la quale gli esseri umani possono arrivare alle più alte esperienze religiose del perdono e della riconciliazione”. Gesù sulla Croce è tradito dal Padre, Giacobbe tradisce Esaù. Pietro e Giuda tradiscono Gesù. Il tradimento in queste vicende è inevitabile.
Cosa rende così difficile il perdono oltre all’istinto di affermazione dell’io che rivendica la sua identità, la sua vita, la sua dignità? Il fatto che è importante che ci sia “la collaborazione dell’altro, di colui che ha tradito […] l’offesa se non è ricordata da entrambi gli interessati (e ricordata come offesa) ricade tutta su colui che è stato tradito […] Se è solo il tradito a percepire l’offesa, mentre l’altro ci passa sopra con razionalizzazioni, allora il tradimento continua, anzi si accentua. Questa elusione in malafede di ciò che è realmente accaduto è, di tutte le piaghe, la più bruciante per il tradito.
Il perdono diventa più difficile; il risentimento cresce, perché il traditore non si assume la sua colpa e non prende con onestà coscienza del proprio atto. Jung ha detto che il senso dei nostri peccati è che dobbiamo assumerceli, bisogna prima riconoscerli, e riconoscere la loro brutalità. Per la psiche, assumersi un peccato, significa semplicemente riconoscerlo, ricordarlo”.
L’offesa va ricordata e non cancellata dal risentimento o dall’oblio. Offesa, tradimento, pensieri e tutte le emozioni ed esperienze perché “[…] se io sono incapace di ammettere di avere tradito un altro, o se cerco di dimenticarlo, rimango bloccato nella mia brutalità inconscia. […] Non solo continuerò ad offendere l’altro, recherò offesa anche a me stesso, perché mi sarò precluso la possibilità di perdonarmi”.
James Hilman sottolinea che “il perdono da parte del tradito, richiede l’espiazione da parte del traditore”, dove per espiazione, viene sottolineato, non è un modo per mettersi a posto la coscienza, ma “è una forma di riconoscimento dell’altro”.
Viene allora spontaneo chiedersi se tutti i tradimenti siano da mettere sullo stesso piano: rimangiarsi una promessa, negare aiuto, divulgare un segreto, ingannare l’amante. Cosa li rende differenti da loro? Visto che il tradimento nella vita esiste ed è addirittura funzionale alla crescita spirituale e all’apertura trans-personale della nostra vita, come facciamo a distinguere allora tra un padre buono ed una padre malvagio? Tra Pietro e Giuda? Qual’ è la differenza tra un maestro o una guida buona, che fa crescere le anime e un falso maestro? Tra il mago bianco e il mago nero? Nel farsi queste domande Hillman, ammettendo di avventurarsi su un terreno che non è più psicologico ma spirituale, individua nell’ “amore” e nel senso di necessità che ne consegue l’aspetto essenziale. Il sacrificio di Gesù è compiuto nell’amore. Il tradimento di Giacobbe è compiuto per necessità in quando era già previsto quando lui stava nel ventre materno. Il padre conduce suo figlio sulla scala per impartirgli un insegnamento.
Come si può dire con certezza se è presente l’amore in un tradimento?
“Se il tradimento è perpetrato soprattutto per vantaggio personale (per cavarsi d’impiccio, per fare del male all’altro o per usarlo, per salvarsi la pelle, per il proprio piacere, per placare un desiderio o un bisogno, per fare i propri comodi), allora si può stare sicuri che c’entra di più il potere, il bruto, che l’amore”.
Se il tradimento è inserito nella dimensione creativa dell’amore, cioè se genera qualcosa, se è fecondo per entrambe le parti coinvolte, se è orientato al “bene comune”, allora acquista un significato profondo.
Hillman spostando l’attenzione dalle cause del tradimento, al modo di reagire al tradimento, per prendersi cura della ferita, sottolinea l’importanza di ciò che è possibile fare oggi, “qui ed ora”, restituendo visione e “potere personale” rispetto alla forza schiacciante di un evento così doloroso e drammatico.
Questo ci porta ad affermare, per concludere, che nella vita psicologica e spirituale non sono tanto importanti gli eventi e i fatti, visto che l’esistenza di ognuno di noi è costellata inevitabilmente di avvenimenti luttuosi, dolorosi e tragici, ma diventa cruciale come noi reagiamo ai fatti, come sappiamo portarli, con quali occhi riusciremo a guardarli. Quello che conta nella vita, come dice Etty Hillesum, è quello che grazie ai fatti diventiamo.
Ho copiato questo scritto da un post su FB di Melania Bisesto del 21 Aprile 2023
Si tratta di un commento e sintesi di Gianluca Minella sul testo di James Hillman, “Puer auternus” Ed. Adelphi, Milano, 1999