Caro lettore, con questo scritto spero di farti un grande dono.
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Il più grande sabotatore interno, il più potente guerriero armato contro la tua stessa felicità, è il senso di colpa.
È così potente perché si è reso inafferrabile. Le sue ragioni di esistenza sono così profonde e così sensatamente ragionevoli da avergli imposto di difendere la sua esistenza ad ogni costo.
Ognuno ne porta appresso qualche specie e la nutre del proprio dolore, del proprio canto inespresso, della propria gioia negata. Lo alimenta con ogni fallimento, vittimismo e con ogni tipo di rabbia che non trova la sua giusta rivendicazione.
Il senso di colpa ti danneggia ma è cattivo?
È crudele?
No. Non è cattivo, né crudele.
E’ solo subdolo e si nasconde perché, essendo un figlio non riconosciuto dell’amore, teme il dolore che la sua scoperta certamente ti arrecherà.
Sì. Il senso di colpa nasce dall’amore.
È un malinteso senso d’amore.
Il senso di colpa è una qualità dell’amore che, nel tentativo di trovare la compiacenza di chi si ama, si piega e si protende verso l’amato, o l’amata, anche al costo di annullare te stesso, te stessa.
Il senso di colpa nasce da quella voce interna, spesso infantile e adolescente, che ha voluto proteggere, con il sacrificio di sé, le persone a te più care.
In ordine di tempo i tuoi genitori o chi, ad ogni titolo, ha avuto cura di te.
La tua voce interiore ha detto a quella persona, mamma, papà o altre figure affettive della tua vita: “Mamma, papà, il tuo difetto non è così grave. Vedi ce l’ho anche io!”
Così te ne fai carico.
“Mamma, papà, non ti ruberò quella scintilla di luce che ti serve per sentirti unica.”
Così rinunci.
Il senso di colpa nasce dal desiderio di proteggere chi più hai amato dai suoi difetti, “ereditandoli”, avvalorandoli, magnificandoli, facendone perfino dei un trofeo.
Lo sanno bene i figli di genitori violenti o tossici o anaffettivi. Sanno come è facile cadere nel terreno di disagio da cui provengono.
Una delle radici della somiglianza psicologica con i genitori è semplicemente un gioco di imitazione e scarto di qualità e difetti. Le caratteristiche tipiche del “gruppo famiglia” generano infatti una somiglianza che non è solo biologica ma anche comportamentale e che è funzionale all’essere accettati nella “tribù” e nella società di cui fai parte.
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Quando ero ragazzina, alle medie, avevo una compagna di classe molto bella.
Lunghi capelli e un portamento elegante. Maglioni con il collo alto e gonne kilt. Stivali da cavallerizza e calze colorate. La guardavo ammirata muoversi con sicurezza nella classe senza riuscire a dare nome a quello che provavo: invidia.
Mi sentivo anni luce lontana dalla sicurezza e dal fascino che manifestava.
Io ero ordinaria nel vestire, il mio armadio era pieno di abiti di terza mano, eredità delle mie cugine maggiori che, peraltro, spesso vestivano uguali. Io risultavo uguale a loro, cosa della quale ero contenta, ma indossavo lo stesso tipo di abito per tempi biblici. A volte cambiava il colore, spesso nemmeno quello.
Mia mamma è una donna molto elegante, e pure oggi che ha 90 anni si “veste bene” anche solo per spostarsi da una stanza all’altra di casa.
In giovinezza si rifaceva l’armadio dalle migliori sartorie di Roma.
I suoi cappelli a tesa larga ombreggiavano il suo viso, e me.
Ci ho messo molto tempo a capire di avere lasciato il trono della bellezza e dell’eleganza a mia madre. Ero inconsapevole che la mia bellezza fosse pericolosissima per il mio equilibrio affettivo pur tuttavia mi sono sottratta alla mia bellezza per non trovarmi a perdere la gara per il suo affetto.
In gioco era l’amore di mia mamma per me.
Nella profondità del mio sistema di sopravvivenza emotiva sapevo bene che era meglio non competere su quel terreno, sottrarmi, imbruttirmi.
Ricordo situazioni imbarazzanti nei negozi di abbigliamento, figure barbine. Io che sceglievo vestiti non di suo gradimento che lei, puntualmente, non mi comperava. La stessa situazione si è poi ripresentata con il mio ex marito che mi avrebbe desiderata vestita in tailleur con il foularino a pois anche per andare a fare jogging mentre io amo vestirmi di cose larghe e svolazzanti.
Così ho incominciato a fare sport invece che shopping.
Eccellevo in ambiti dove mia madre non solo non giocava la sua partita ma manifestava disinteresse, diffidenza e sospetto.
Lo sport. La pallacanestro, lo sci, la montagna.
I miei precoci studi di astrologia, chiromanzia, tarocchi.
Gli unici acquisti che riuscivo a fare senza sentirmi male nello stomaco e con le vertigini nella testa, erano di tipo tecnico. Giacche a vento mirabolanti, scarponi da montagna, zaini di tutti i tipi.
Libri, tantissimi.
La mia compagna di classe e sua madre, bellissime, con i loro giri di perle, camminavano a fianco in centro a Bolzano. Loro erano miraggi per me. La loro unione non competitiva ancora oggi mi ammalia.
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Ti consiglio di scrivere una lettera alla persona di cui ora sai avere “assorbito il destino”, diminuendoti oppure competendo per reazione.
Prendi il tuo valore e lasciale (lasciagli) il suo.
“Cara mamma, sono bella.
Sono molto bella.
Come te.
Come la nonna.
Non è colpa mia ne mia responsabilità se stai male quando le persone guardano me e non te.
Cara mamma, io ero una bambina e lo sono ancora dentro di me.
Oggi credo di capire cosa ha attivato il tuo sistema di difesa nei miei confronti.
Avevi ragione.
Hai ragione.
Volevo il tuo posto.
Essere bella come te, amata come te.
Per lunghi anni mi è strisciata dentro un’invisibile invidia.
Mi pareva impossibile e inaccettabile che “tu sì” e “io no”.
Ora vedo sia la mia invidia che la mia rinuncia e me libero accettando me stessa per come sono e te per come sei.”
Mamma, oggi ti prendo a braccetto e andiamo in centro insieme.
Faremo compere insieme e saremo magnifiche.”
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Naturalmente ci sono voluti anni per recuperare il dolore della mia bellezza fisica.
Quel disagio è salito dal mio diaframma per frammenti fotografici, come un’onda e, poco a poco, ho ripreso il mio posto nel mondo dell’eleganza anche se ancora oggi entrare in un negozio per comperare abiti chic mi è difficile.
Preferisco le bancarelle dei mercati di strada e comunque mi piace essere accompagnata da un’amica e, con la scusa di: “Dimmi come mi sta”, mi porto appresso un’alleata e così il mio stomaco si rilassa.
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Il senso di colpa ha molti visi. Quello che ti ho descritto è uno.
Un misto di invidia e di autocensura che si traducono in un dolore alla bocca dello stomaco, in un sentimento di rifiuto per ciò che desideri ma che si traduce in autosvalutazione: “Non ce la farò mai” la cui voce sottostante è il tuo sacrificio: “Sei al sicuro mamma, sei al sicuro papà, siete i migliori e io non saprò fare meglio di voi. Sono esattamente come voi mi volete”
Il sentimento di colpa è un tribunale sempre in servizio nella tua emotività.
Giudici interni ti trattengono, ti criticano prima ancora che tu abbia compiuto qualsiasi azione che ti spinga ad usurpare il terreno di cui tu hai interamente lasciato l’uso a qualcuno che volevi proteggere.
Sei inibita, o inibito, nell’agire. Timoroso o codarda.
Oggi che sei stufo, stufa, di sbattere contro gli stessi limiti che hai creato e che vuoi guadagnare un nuovo spazio per vivere l’amore, ti serve di vestirti di grande coraggio per non soccombere al ricatto che tu stesso hai posto a te stesso.
Spesso coloro che più hanno sviluppato questo meccanismo di protezione di una figura affettivamente dominante attraverso il sacrificio di sè, lo sublimano trasformandolo nel piacere per il rischio: avventure pericolose, sport estremi, velocità, tossicità o altro.
Infatti, accade che accanto alla colpa si costruisca un suo antagonista, una parte di te “Super” o “Wonder” che apparentemente “aiuta” ma che in realtà, conferma la colpa e, soffocandola, la nutre.
Si tratta di un ’“Io Troppo Grande”, più grande del necessario, megalomane, borioso e sprezzante, più rigido e impositivo di quanto serva per i tuoi scopi esistenziali.
L’Io Troppo Grande si forma per sostenere quell’ ’“Io Troppo Piccolo” della colpa, del bambino, bambina che cede se stesso a un genitore per paura di perderne la protezione e l’amore.
Fra l’Io Troppo Grande e l’Io Troppo Piccolo, come una fetta di prosciutto stretta nel panino ci sei Tu.
È lì, nel mezzo di te stesso che cercandoti, trovi la posizione del cuore, la tua giusta eleganza, il tuo esatto sentimento.
Lì, dove ti senti stritolato, puoi trovare il tuo “Io Amorevole”.
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È un lungo cammino quello che ti permetterà di abitare nel tuo “Io Amorevole”, quello che riesce ad amare sia te stessa, o te stesso, contemporaneamente a chi tu ami senza sacrificarti a loro.
“Loro” è tanta gente. I genitori primi fra tutti. E poi amanti, sposi, fratelli, sorelle, figli, superiori gerarchici, dipendenti. La gente per la strada, gli automobilisti impacciati o prepotenti che ti innervosiscono. Il governo ladro, i politici, quelli che “ti fanno qualche cosa”, che ti rubano i soldi con le tasse. I complottisti che dirigono il clima come se fosse un’automobile facendo cambiare le temperature e le stagioni.
L’Io Amorevole è benevolente perché ha digerito ogni goccia del suo dolore.
Questo è il cammino.
Amare e, attraverso le porte oscure dell’Amore, arrivare alla sua parte più luminosa.
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E ora dimmi: come riconosci tu il senso di colpa?
Come agisci quando questo sentimento si manifesta in te?
Molte persone stentano a riconoscere il senso di colpa.
Dicono di non averne: “Io? E di cosa dovrei sentirmi in colpa?”
Personalmente penso che in un modo ognuno diverso, tutti abbiano al proprio interno questo sentimento.
La colpa è molto sfuggente e provo ora a descriverti che sensazioni nel corpo si legano al senso di colpa.
Innanzitutto, è un sentimento aereo, perciò si manifesta nel respiro, magari un mutamento nel ritmo di inalazione o espirazione che può perfino portare una leggera apnea.
Secondariamente è bruciante. La colpa genera calore interno che spesso si sviluppa nello stomaco, come una cattiva digestione.
Terzo passaggio, è la sensazione di vuoto nel ventre.
A volte, nei sogni, compare sotto forma di “pericoli” “minacce”, che rivelano gli stati interni di ansia.
Osserva questi fattori per aiutarti in una autoanalisi emozionale.
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Spiritualmente, portare in luce la colpa è il primo passo per correggere i propri atteggiamenti di rabbia, ira, vendetta, vittimismo e recriminazione aprendo le porte alla responsabilità.
Quando intercetti il senso di colpa smetti di accusare, rimproverare, di esigere da altri ciò che è necessario imparare a procurarti. Tu stesso ti sei immolato, hai scelto di proteggere sacrificandoti.
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È davvero tanto utile imparare ad auto sostenersi quando il senso di colpa bussa nelle viscere. Solo così, infatti, lo si può trasformare in alleato e quella grande risorsa di trasformazione interiore che si chiama benevolenza la cui pratica conduce alla libertà interiore.
Ti abbraccio, e attendo le tue osservazioni.
Con amore
Olivia