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La prima, e più importante, cosa da dire della paura è che si tratta di un’emozione di difesa.

Fra le emozioni primarie è la più fulminea perché è direttamente connessa alla sopravvivenza.
L’istinto della paura si accompagna ad una sensorialità altissima poiché attiva la parte più antica del cervello, quella che dirige gli istinti di lotta e fuga.

Il linguaggio nel quale la paura si esprime, è molto fisico: aumento delle percezioni olfattive e uditive, immobilismo, irrigidimento.
La paura si manifesta anche con una forte tensione muscolare, preparatoria dello scatto di lotta e fuga.

Nel linguaggio immaginale e di sogno, la paura si esprime spesso attraverso figure di controllo quali la polizia, i giudici, gli organi amministrativi, gli animali aggressivi. Immagini di incidenti, inseguimenti, aggressioni, cadute vorticose, sono i linguaggi per immagine della paura.

Ho per lungo tempo sognato pattuglie di polizia fluviale. Venivo braccata mentre tentavo di attraversare un fiume su un battello.
La sensazione di essere all’ultima possibilità di fuga era sempre molto forte.
Più mi avvicinavo alla sponda opposta, più il numero di militari, camionette, soldati e tende da campo verde, si infittiva.
Nello stesso momento in cui mi sentivo senza risorse e diventavo consapevole che non avevo chance di scappare, un battello si agganciava a quello dove io stavo e una truppa di uomini in tenuta da battaglia invadeva la mia imbarcazione.

Per Aristotele la paura appartiene alle emozioni di dolore e consiste in una agitazione che si produce dalla prospettiva di un male futuro capace di produrre morte, malattia o distruzione.

La paura ha diversi aspetti:
1)    può essere provocata da una situazione di pericolo reale
2)    è un sentimento di previsione e nasce dal timore che un certo accadimento potrebbe avverarsi
3)    la paura può anche essere scatenata da un ricordo o da memoria della quale non si sa con esattezza se sia vera o immaginata
4)    la paura, infine, può anche essere prodotta da una fantasia.

Molte sono le situazioni di cui si insegna a temere le conseguenze. Moniti, spesso familiari, che nel tentativo di evitare situazioni di pericolo, improntano all’ansia e al timore incontrollabili. “Stai attenta! Non ti sporgere che ti fai male, copriti che prendi freddo, non correre che cadi, non ti tuffare che affoghi”.

La paura diventa un’esperienza profonda anche senza che si sia mai vissuta l’esperienza del vero pericolo.
L’anticipazione di paure e il controllo teso al loro evitamento, inibisce la possibilità di una esperienza diretta, limitando la possibilità di educare l’emozione e il corpo e  ad una corretta reazione verso la sfida e verso il pericolo.

Il cattivo esito di questi moniti minacciosi è la creazione di un nucleo d’ansia difficile da controllare proprio perché il pericolo paventato non risulta esperito, è “sentito” ma non è reale e quindi è inagibile contribuendo a creare il sentimento di impotenza.

Ricorda che da una caduta vera si può imparare molto di più che da mille cadute evitate.

Riesci a ricordare situazioni in cui la paura ti ha bloccato ed è stata di ostacolo all’azione?
Riesci a ricordare situazioni in cui la paura ti ha salvata, o salvato, da un pericolo reale?

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La paura può anche manifestarsi solo successivamente alla situazione di pericolo reale.
Questo accade quando il pericolo si sia presentato in modo inatteso e improvviso.
Essere stati colti impreparati e “di sorpresa”, apre un circolo vizioso.
Nel tentativo di non essere più colti di sorpresa l’emozione della paura viene esasperata diventando così un sentimento generalizzato che porta a vivere perennemente in “attesa dell’imprevisto”.

Mi ha molto colpita questo racconto di G.. una persona che ho assistito nel suo percorso di cambiamento perché evidenzia come da un episodio reale, il cui esito è stato salvifico e positivo per lei, la bontà della sua intuizione sono state intimamente svalorizzate e negativizzate.
Spesso, infatti, l’inconscio nella costruzione del suo immaginario si fonda sulle sensazioni ed emozioni più che sulla realtà dei fatti. Accade così che si generino sequenze di immagini interiori che diventano il racconto di incapacità, fallimenti e insufficienze anziché di immagini vittoriose di successo o conquiste che diano riconoscimento dell’esattezza della propria visione del reale e della capacità di fare fronte agli imprevisti.

G. viveva, giovane donna con una figlia, presso i genitori.
G. faceva notare ai suoi l’andamento di certe crepe nel muro che di giorno in giorno si aprivano sui muri estendendosi a rete come la tela di un ragno.
I genitori non badavano alle osservazioni di G., nemmeno le prendevano in considerazione.
Un giorno G. era nella stanza da bagno quando un piccolo sasso la colpì sulla testa.
Immediatamente, in modo completamente istintivo, uscì dal bagno un attimo prima che il soffitto le crollasse letteralmente in testa.
G. si salvò così da un danno certo, scampando un grande pericolo.

Questo episodio reale ha lasciato molte tracce nella memoria di G.
Tracce che comparivano soprattutto quando si sentiva molto esposta emotivamente, inascoltata o svalutata, come per esempio ’interruzione non voluta di una relazione amorosa, l’insensibilità dei genitori verso i suoi valori.
G. è maestra di yoga e counselor, e nonostante la sua preparazione, le difficoltà della vita, davano luogo a immagini di macerie, sensazioni di seppellimento, di schiacciamento, polverizzazione e soffocamento rendendo oltremodo difficili le sue scelte personali di libertà e indipendenza.

G., parlando di sé e della sua relazione con i genitori, ha detto di avere avuto molta: “difficoltà di distinguere il reale dalla fobia, perché alla fobia, nella mia famiglia, si dava molta più attenzione che al pericolo reale.”

Ecco un esempio concreto di come il mondo immaginale della paura diventa trama di vita anche fuori dalle condizioni di pericolo effettivo.

Dalla paura, quando non ha nesso con la realtà oggettiva, si generano stati d’ansia.
La paura si trasforma in ansia, quando le manca un oggetto reale e scatta quando si attiva una reazione di difesa interiorizzata.

La paura non espressa, soffocata o negata, può manifestarsi attraverso l’ansia nella forma di impulsi motori, contrazioni involontarie e modi fare aggressivi. L’ansia si attiva in forme di controllo, manie di ordine oppure necessità di affermare il proprio potere personale sulle situazioni contraddicendo l’interlocutore o interrompendo spesso le conversazioni.
Può anche generare sogni con caratteristiche violente, aggressive, sanguinose, crudeli e terrorizzanti, anche nelle forme di animali o altri esseri.

L’istinto di lotta e fuga tipico della paura può venire soppresso quando la normale reazione di difesa è impossibile a causa di una eccessiva sottomissione ad agenti disturbanti.
Questo è il caso di circostanze ambientali nelle quali la possibilità di reazione è impensabile. Per esempio, nelle relazioni gerarchiche e piramidali, nelle quali la sottomissione al potere altrui è indiscutibile come nei rapporti militarizzati o anche nei casi di bullismo.
Anche i rapporti famigliari squilibrati, invadenti, castranti, se non direttamente violenti, generano una forte sensazione di inferiorità e bloccano il sano istinto della paura, che è lotta o fuga,  castrando l’autodifesa e non permettendo di reagire subitaneamente alla minaccia.
In queste situazioni la paura si fa paralisi dell’azione e le manifestazioni aggressive trovano una via interna di sfogo nei sogni o nelle immaginazioni In questo modo lo sfogo interno dell’aggressività viene retroflessa, ovvero diretta verso di sé piuttosto che all’esterno. Essendo impossibile agire aggressivamente contro chi produce lo stato di paura ed essendo anche impossibile non provare paura, questa si dirige con rabbia verso se stessi trasformandosi in sentimenti di auto aggressione, svalutazione e auto sabotaggio.ad occhi aperti oppure in malattie psicosomatiche ma soprattutto nella visione fallimentare di se stessi.

Spesso chi agisce un comportamento eccessivamente violento rispetto alla situazione con gesti sgarbati, maleducati, critici,  è colui, o colei, cui l’esercizio della propria aggressività è stato a lungo inibito.

C. sognava spesso corvi neri. Dapprima si sorprendeva della loro bellezza, il colore nero blu delle ali, il giallo brillante del becco. Si avvicinava all’albero dove stavano appollaiati. Improvvisamente i corvi si alzavano in volo e le loro ali le sbattevano sul viso creandole un grande spavento. C. si svegliava di soprassalto con il fiato corto e la maglietta completamente sudata.

Sogni di questo tipo accadevano a C. nei giorni successivi all’essere stata svalutata dal suo capo.
C. non trovava sostegno nemmeno nel marito, il quale distrattamente la blandiva con un distratto: “Cerca di fare meglio”.
È stato un lungo lavoro insieme, nel mio percorso È Ora Di Amare, a permettere a C. di avvertire la minaccia implicita di perdere il lavoro, la paura di perdere anche l’amore del marito e di agganciare le sensazioni di minaccia e paura al momento reale, quando gli eventi accadevano, in modo da evitare di trascinarsi nei sogni le immagini dei corvi di cui C. subiva il fascino ma anche l’intimidazione.
C. ha imparato a reagire al momento necessario: “Perché mi dice così? Ho fatto il mio lavoro esattamente come lei mi ha indicato.”

Vuoi raccontarmi dei sogni che ti hanno procurato paura?

La paura repressa può dare luogo a irascibilità oppure a improvvisi scoppi emozionali: rabbia, pianto e perfino riso.
Di fatto quando il sistema emozionale entra in crisi, per effetto di minaccia, reale o immaginata, quando ciò che ci si trova di fronte appare difficile da conseguire o da evitare, non risolvibile, oppure impossibile, blocca l’emozione e attua dei sistemi per rimandare la reazione istintiva.

Quando sei nella difficoltà di evitare il male che temi o di poter ottenere il bene che desideri, allora la paura si fa ira.
I danni da scoppi d’ira sono noti e si traducono quasi sempre in un nulla di fatto sul fronte della comprensione reciproca e dell’ottenimento per te di qualche vantaggio nella relazione.

Un altro danno da atteggiamenti che “vanno fuori controllo” è l’aumento del senso di colpa dovuto alla cattiva gestione delle tue emozioni e alla circostanza che nel conflitto, se “perdi il controllo”, non sei più legittimato a sentirti “buono” perché sei passato dalla “parte del torto”.
D’altra parte, come hai letto sopra, anche l’ira trattenuta o retroflessa in auto aggressività, condiziona pesantemente la lucidità affettiva che diventa incapacità di individuare ciò che è bene e buono per sé.

Sentimenti negativi di confine con la paura sono la fobia e l’angoscia.

La fobia è l’accentrarsi dell’istinto di paura su oggetti o situazioni specifiche che fungono da oggetti totem, parafulmini emotivi per impedire che l’aggressività si diriga verso qualcuno di cui hai assolutamente bisogno.

Personalmente ho avuto per lunghi anni una fobia per i pesci. Strano oggetto totem per una di Bolzano! I miei percorsi a piedi evitavano accuratamente le strade con pescherie. Ero bravissima a chiudere gli occhi prima che le immagini pubblicitarie rovesciassero barcate di pesci guizzanti sui pescherecci di Nostromo.
Da ragazza sono stata oggetto di scherno e scherzo da parte di parenti e amici. Il mio  terrore, che mi vedeva fuggire a gambe levate urlando alla sola vista di una trota di fiume, era ilare e divertente.
Così ho sostituito il sentimento di fiducia verso la sfera amicale e familiare, con la sensazione di un vero e proprio abbandono.
Eppure, non ero capace di smettere di volere bene e di cercare di farmi volere bene da chi di me si era fatta beffe mettendo in piedi teatrini provocatori. 

Ho affrontato questa fobia sforzandomi di mangiare pesce, di curarlo per cucinarlo, di prendere confidenza con la sua forma, il suo odore. Tentativi utili e inutili allo stesso tempo. Utili perché comprendevo che i pesci erano solo un oggetto immaginale della mia paura di fondo, inutili perché i pesci mi hanno terrorizzata per lungo tempo.
Solo nell’andare degli anni ho compreso che i pesci sono stati un totem, un vero e proprio parafulmine che ha permesso al mio spavento esistenziale di concentrarsi su un oggetto senza dilagare “dappertutto”.
Molto lavoro interiore mi ha fatta arrivare alla radice della mia fobia, la sensazione di tradimento e abbandono, e a diminuirne l’impeto.

Prova a identificare il tuo totem personale!

L’angoscia consiste nella sensazione di “attesa e preparazione al pericolo”.
Questa emozione è a “macchia di leopardo” (contrariamente alla paura che occupa un punto preciso) perché non ha un oggetto chiaro ed evidente sul quale riversarsi.

Per Heidegger, un filosofo esistenzialista, l’angoscia può essere provata “di fronte al mondo come tale”, bastando le sue contraddizioni, l’evidente sofferenza degli esseri viventi a giustificarla.

L’angoscia con le sue fantasie catastrofiche produce immagini fantasmatiche che trasportano ciò che nelle relazioni con gli altri e con l’ambiente naturale, non può essere evitato. L’angoscia è, in questi casi, la perdita di possibilità del rapporto fra sé e il mondo oppure fra sé e gli altri.

LA PAURA È UNA SOGLIA ATTRAVERSO LA QUALE ENTRARE NEL MONDO DELL’AZIONE

Il mondo reale è fatto di azioni concrete, idee realizzate, immagini mentali portate su tela.
Il mondo reale è il prodotto del mondo immaginale. La paura è la grande Maestra del mondo dell’azione. È colei che la inibisce per forgiala.

Sentimenti positivi di confine con la paura sono:
il coraggio
la determinazione
la ribellione
il riscatto
l’onore
la lotta per sé
la lotta per gli altri
l’idealismo

La paura è un sentimento profondamente trasformante poiché, se elaborata e controllata, per esempio con il coraggio, con l’etica o la generosità, si manifesta come volontà che rifiuta attivamente ciò che non è voluto.
La paura è la spinta che volge il carattere verso un maggiore amore per sé, un più alto rispetto verso i propri bisogni e necessità sia fisiche che emozionali.

La paura quindi, nella sua visione spirituale, si fa maestra di profonda comprensione delle dinamiche fra emozioni, le quali, tutte, sono le Maestre dell’Anima.

Non rinunciare alla paura quando ti fa dono di presentarsi a te.
Cercala e seguila come si segue chi può riaprire per te le porte della “visione dall’alto”![1]

Buon lavoro!
Con tanto amore
Olivia

 

[1] Una delle parole ebraiche che dicono “paura” e “timore” in ebraico ha una sequenza simbolica molto chiarificatrice sull’esito di queste emozioni. Le parole ebraiche sono composte da Lettere molto speciali: ognuna di esse è carica di valori simbolici e significati reconditi. Anche il corpo e le sue funzioni vitali fanno parte del loro misterioso e affascinante significato esoterico.

Pachad, radice peh, chet, dalet, racconta di qualche cosa del tratto viscerale, intestinale. Un rapporto diretto con il sentire che tocca il cosiddetto “primo cervello”. L’intestino reagisce velocemente codificando l’emozione come un ostacolo difficile da superare. Vi è un blocco che tocca la sfera affettiva, il rapporto con la nutrizione e la madre, quindi la sopravvivenza. Il blocco però trova una via d’uscita nell’aprirsi dello sguardo verso l’alto come se nel timore ci fosse sempre la possibilità di un “volo d’uccello” che permetta di contestualizzare il pericolo e di trovare soluzioni inattese. È nella visione dall’alto, una specie di “porta delle stelle”, il “sopra” dal quale il “sotto” non diventa più totalizzante, luogo del terrore ma semplice situazione modificabile solo che si raggiunga una visione di possibilità.

 

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