L’invidia è, fra tutti i “cattivi sentimenti”, quello che più si nasconde alla consapevolezza.
Questo dipende in parte dal fatto che l’invidia è molto stigmatizzata socialmente.
L’invidioso getta il malocchio e porta sfiga. Il suo sguardo torvo nuoce a chi ne sia destinatario, indifferentemente se persona o cosa.
A nessuno piace identificarsi nella parte di invidioso, in chi guarda malevolmente nel giardino altrui.
Per questo individuare i propri tratti invidianti è davvero difficile, un po’ come trovare la “trave nel proprio occhio” piuttosto che nell’occhio dell’altro.
Eppure, ora che guarderai le matrici e le chiavi di questo sentimento, vi troverai le chiavi dell’amore mancato, del dolore di vivere e di tutto ciò che merita una profonda compassione ma soprattutto, se te ne scoprirai afflitto, ti richiederà il grande coraggio di fronteggiare il tuo dolore personale.
Affrontare il tuo dolore, infatti è l’unica via per recuperare la qualità dell’amore che si è allontanata dal tuo cuore per timore di soffrire e di essere abbandonato.
Inizio questo viaggio lungo i binari dell’invidia.
Se ti ritroverai in qualche punto del tragitto, SII FELICE PERCHÉ STANARE L’INVIDIA EQUIVALE A GUARIRLA E A RECUPERARE GIOIA, GRATITUDINE E AMORE VERO POICHÉ L’INVIDIA È IL SENTIMENTO CHE PIÙ DI OGNI ALTRO ERODE LA CAPACITÀ DI AMARE E DI ESSERE AMATI.
Il significato corrente di questo termine è:
– malanimo provocato dalla constatazione dell’altrui prosperità, benessere, soddisfazione; uno dei sette vizi capitali, secondo la dottrina cattolica (opposto alla virtù della carità).
-in senso attenuato, l’invidia è desiderio di poter godere dello stesso bene che altri possiedono. L’invidia consiste anche in un vivo ed accentuato apprezzamento.
L’invidia è il sentimento dello sguardo che “si posa sopra”, appiccicandosi al suo oggetto, derubandolo con la propria rapacità del suo mana, del suo potere personale.
Il dizionario etimologico la definisce come “tristezza e dolore che provano alcuni al vedere l’altrui bene, l’altrui felicità”.
Ora guardiamo insieme come nasce l’invidia e come liberartene
Una psicologa, Melanie Klein, ha dedicato gran parte della sua attività professionale allo studio della psicologia dei lattanti e dei bambini. Secondo le sue osservazioni il sentimento di invida è uno fra i primi a comparire e si struttura così: il bambino desidera intensamente il nutrimento dalla madre, o da un suo sostituto, e vorrebbe “impadronirsi” della fonte di ciò che più di ogni altra cosa lo interessa: il cibo. Vorrebbe che la “fonte del latte” potesse essere sua per sempre a totale ed esclusiva disposizione.
Così non è. Il seno, il biberon, la fonte di vita e nutrimento compare in modo intermittente. Negli spazi di mancanza il bambino costruisce la sua struttura caratteriale, la sua reazione alla mancanza. Può attendere fiducioso, può pretendere con il pianto, può “congelarsi” nella paura che non avrà più ciò che gli abbisogna. In ognuna di queste psico-soluzioni affettive esiste il passaggio sull’invidia: “Come vorrei che il latte fosse mio per sempre!”.
“L’invidia corrisponde alla formazione di quel sentimento, innato nel bambino, che esista qualche cosa fuori di lui, che può appagare ogni suo bisogno e desiderio. ”[1]
Il bambino ha il suo carattere, nasce sotto un “certo cielo” e sin da subito sviluppa la sua tipologia caratteriale. Il naturale passaggio sull’esperienza dell’invidia può avere due esiti principali.
PRIMO
L’invidia si fissa sul sentimento di mancanza e di necessità dal quale consegue la dinamica che tutto ciò che serve vada reperito fuori da sé.
Se questa modalità si stabilizza nel carattere allora la persona svilupperà un rapporto amore-odio con ciò che gli necessita, siano cose o persone. Si tratta di una qualità di amore primitiva perché è legata alla soddisfazione del proprio bisogno, al prendere più che al dare. Odio perché non si può possedere, fare propria per sempre, l’origine, la fonte di ciò che soddisfa il bisogno. Questa dinamica è la radice di tutti i rapporti amorosi del tipo “tira e molla”. Amore a prima vista, delusione, “lascio e riprendo” nei quali il risentimento è una nota costante molto forte.
Quando l’oggetto d’amore viene meno, perché scacciato in quanto non corrisponde esattamente alla copertura del bisogno sentito oppure perché inconsciamente si producono le condizioni della sua fuga, lo si odia, lo si disprezza, lo si vitupera, lo si vorrebbe distruggere.
Ecco che la base dei rapporti nei quali l’odio “Vai via! Non ti voglio più vedere!” si mescola all’amore “Solo tu mi fai essere completo, felice, innamorato, ti prego stai con me” hanno una forte base invidiante.
SECONDO
Il passaggio evoluto dell’invidia è verso il sentimento della gratitudine, della gratificazione, della pienezza, del dono per la presenza. Alcuni bambini istintivamente costruiscono dentro di sé l’immagine dell’oggetto buono (la mamma, la balia, il seno, il biberon) che offre ciò che sfama. Una volta sfamati si occupano di altro, giocano, si distraggono e il piacere per il latte è tale perché viene riguadagnato ogni volta. Tale passaggio per la persona adulta è frutto di grande lavoro interiore, del riconoscimento degli attacchi invidianti e autosabotanti e dell’accettazione del fatto che né tu né l’altro (il sostituto della madre che può anche il rifugio in un hobby) possedete la “fonte del latte”.
Una cosa credo ti sia chiara ormai caro lettore, cara lettrice.
L’invidia è un sentimento dolorosissimo.
La privazione, il dolore della solitudine, la paura di “non averne abbastanza”, la tristezza, la sconsolatezza, il rancore, la rabbia, la rimozione e il sentimento di esclusione dalla felicità ne sono figlie. Infatti l’invidia negata sostiene il rancore verso l’altro, il senso di minorità verso se stessi e l’inadeguatezza.
Una Novella su Nasr Eddin, un personaggio caro alla mistica sufi per le sue facezie, ben descrive il sentimento radicale che sottostà all’invidia, ovvero il rifiuto di sé:
Nasr Eddin trova per terra un pezzo di specchio. Lo raccoglie ci si guarda dentro e si trova brutto. Lo lancia allora violentemente lontano gridandogli: “Via dalla mia vista! Capisco, ora, perché ti hanno buttato!”
Chi ne patisce, negandola, vive costantemente la FAME INSODDISFATTA D’AMORE e nella terribile frustrazione di “non essere capaci di …” di “non avere mai la cosa più bella”.
Sensazione che viene inasprita dalla FALSA CERTEZZA che gli altri, il partner, i familiari siano a sé bastanti, felici e contenti. Nella logica emotiva dell’invidiante gli altri sono liberi da pesi e dolori e vivono senza consapevolezza e senza empatia.
L’invidia consiste nel monitorare e calibrare la propria vita paragonandola continuamente con quella altrui SIA IN SENSO SVALUTANTE “che merito ha per le sue fortune” sia MAGNIFICANTE: “Io non sono invidioso!! Ho sempre detto solo bene di lui-lei!!”. “Io ti ammiro moltissimo e ti stimo oltre ogni altra persona.”
Il senso della propria esistenza dipende in grande misura dal livello di mancanza e frustrazione rispetto a ciò che viene percepito come appetibile negli altri. Il desiderio di avere ciò che l’altro ha, non è finalizzato a ottenere ciò che possiede, ma è avvertito come l’unica possibilità di stare in relazione con l’altro, secondo una logica del tipo: “FINCHÉ SONO CARENTE HO LA POSSIBILITÀ DI STARE CON TE E NEL MONDO.”
Permanere in questa dipendenza costruisce l’illusione di poter sfuggire, attraverso la mancanza, all’abbandono e al rifiuto.
L’invidia è un sentimento che dirige l’attenzione verso ciò che è irraggiungibile e, di fatto, la risposta di un invidioso alla difficoltà esistenziale è spesso quella dell’autocancellazione, del ritiro vittimista e ricattatorio.
Il sentimento di profonda indegnità e inadeguatezza che vive una persona invidiante genera un senso di colpa di cui è molto cosciente, lasciandogli esprimere il suo lato depressivo in modo anche eclatante e appassionato. L’invidiante vive in un’atmosfera di scompiglio e turbolenza. Questo sentimento accende un tipo di arroganza competitiva spesso carica di risentimento come compensazione alla propria profonda autosvalutazione. A volte l’autosvalutazione e il sentimento di inadeguatezza vengono compensati con la raffinatezza esteriore, con la bellezza, con la cura anche eccessiva del proprio aspetto esteriore.
Ci ho messo molto tempo a capire che la radice di tanta parte del dolore emotivo che ho provato nella mia vita aveva una radice invidiante. Come molte persone tenevo lontana l’ipotesi di essere invidiosa come si tiene lontana l’idea di essere contagiosa e infetta.
Un po’ sono stati i miei studi, in particolare l’Enneagramma, un po’ la mia dedizione allo scavo interiore a farmi intuire che soffrivo molto perché non riuscivo a non paragonarmi continuamente a situazioni che mi parevano migliori.
Ti racconto questo.
“Avevo chiuso con decisione una storia d’amore. Non era la prima volta che provavo a liberarmi di una relazione complicata e difficile che mi metteva in grande difficoltà.
L’operazione era riuscita. Blocco totale sui social, esclusione delle amicizie comuni, nuove esperienze, viaggi. Niente, nonostante tutto, il pensiero tornava lì. Il desiderio era bruciante anche se la logica dell’allontanamento prevaleva. Avevo una frase in testa che rimbombava come il tuono che si fa sordo dopo l’esplosione. “Lui che non ha niente, può tutto. Io che ho tanto, non posso niente.”.
Era un mantra terribile, schiacciante, offensivo per me e per il mio ex compagno. Ogni volta che mi veniva in mente mi sentivo svilita dalla mia condizione di dipendenza affettiva. Invidiavo la sua libertà, la sua capacità di staccarsi da me, la sua intraprendenza, le sue avventure erotiche. Desideravo tutte queste cose così fortemente da non riuscire a pensare a me stessa, alla mia vita. Volevo essere lui senza essere me.
Come ne sono uscita?
Seguendo delle” istruzioni da manuale”.
Ho cominciato a fare da sola ciò che invidiavo di lui. Sono partita per dei viaggi senza meta e senza tempo. Mi sono appropriata della mia capacità viaggiante. Ho assaporato i piaceri e i limiti di questa esperienza.
Ho cercato di sviluppare in me ciò che lui mi dava nella relazione. Il suo senso di fiducia, la sua libertà.
Ho preso consapevolezza di come il vittimismo si alimenta ogni volta che si rifiuta ciò che si ama. Ho fatto un patto con il dolore e la tristezza scrivendo un libro “Le Novelle di Olivia” i cui proventi sono stati destinati ad una comunità dell’Amazonia peruviana.
Ho cercato di osservare la mia tendenza al dramma, alle espressioni enfatizzate.
Ho cercato di smettere di cercare di fare sempre “il meglio”, che richiedeva tempi biblici, e di accontentarmi di “fare” piuttosto che “perfezionare” secondo il motto “meglio fatto che perfetto”.
Ne sono uscita veramente?
Non lo so. Credo che certe matrici siano innestate permanentemente ma che si possa guadagnare per i propri difetti una sorta di amorosa comprensione che, meglio del risentimento e della rabbia verso di sé aiuta a disinnescarli restituendo così felicità e amorevolezza alla vita.
Spesso mi sorprendo ancora a pensare al perché ad altri riescono cose che per me sono difficili da praticare. Quando mi stano in questi pensieri mi sforzo e scendo nel concreto della vita, ritiro il mio sguardo desiderante dagli altri e mi sforzo di AGIRE procurandomi quello di cui ho bisogno che non è ciò che l’altro possiede come bene materiale o come qualità.
Un altro stratagemma che uso è cercare di riconoscere quanta sofferenza “l’altro” porta in sé per ragioni diverse dalle mie.Per ragioni che non comprendo. Sofferenza che non vedo, perché celata dalla mia proiezione invidiante.
Su questo tema ho scritto una storiella https://www.oliviaflaim.it/cento-chili/.
Per evolvere l’invidia, che DISTRUGGE SÉ E L’ALTRO, per portarla verso la gratitudine, ci sono molti passaggi.
Il primo è rinunciare alla sofferenza di una vita vissuta romanticamente, intensamente e drammaticamente per orientarsi verso una “vita pratica” dove il romanticismo si misura sui progetti, più che su sguardi che tutto dicono in un attimo che trascende il tempo.
È anche utile cominciare a sradicare il senso di essere speciali, magici, talmente peculiari da sfuggire continuamente al confronto con il mondo. Soprattutto ci vuole PAZIENZA con quella parte di te bambina, o bambino, che ha fame da sempre.
Cosa puoi fare quando hai un attacco di invidia
Se ti rendi conto di stare attuando un processo invidiante, ritira il tuo sguardo dentro di te.
Ritiralo come se fosse una fune gettata dal occhio all’infuori. Ritiralo e volgilo al tuo interno nel parco di giochi nascosto nelle tue viscere, là dove la Fontana di Latte Perenne che scorre nelle tue vene ti toglierà la sete. Ritira il tuo sguardo e cerca di intuire dentro di te il Paradiso nascosto in ogni tua cellula.
*
Ecco sull’invidia vi sono molte altre cosa da dire ma concludo qui con questa riflessione: l’invidioso, infine, invidia sempre la parte mancante di Sé, il suo lato luminoso e felice, quello di cui ha avuto un’ombra di esperienza e che sposta, proiettandolo, sugli altri.
Ci tengo a dirti che ogni “cattivo” sentimento, è una porta socchiusa sulla GRAZIA: quando il lato invidioso esterno riesce a sposarsi sul lato interno del sentimento di privazione e mancanza, quando si avverte in pieno il proprio bisogno, allora si produce il miracolo: l’invidia si annulla e tu riesci a vedere la tua vita come un CAMPO DI POSSIBILITÀ REALI, di successo e di amore.
La polarità io-altro si azzera per fare spazio alla pienezza dell’amore e poi da lì alla gratitudine, sino al SI’ cosmico, e infine alla GRAZIA che è consiste nel dono di sapere che la si sta ricevendo.
Mi fermo qui per ora e lascio a te le riflessioni e i commenti su cosa questo scritto ti suscita.
Grazie per la tua lettura,
Con amore
Olivia
[1] Melanie Klein “Invidia e gratitudine” pag. 11 Ed. Giunti Psycho